Il dolore alla spalla per chi pratica sport: come comportarsi

Il dolore alla spalla per chi pratica sport: come comportarsi

Non è una sorpresa che gli atleti soffrano spesso di dolore alla spalla, dato che è l’articolazione con la maggiore ampiezza di movimento del corpo e quindi spesso sottoposta a stress o sollecitazioni eccessive.

In genere, un atleta può provare dolore alla spalla a causa di sforzi eccessivi e ripetuti, per un movimento eseguito non correttamente o eventualmente per un trauma. Questo tipo di infortunio si può verificare praticando sport a rischio come calcio, rugby, pallavolo e tennis, oppure semplicemente allenandosi in palestra.

Quali sono gli sport che sovraccaricano di più la spalla?

Gli sport “overhead”, meglio noti come sport di lancio (tennis, pallavolo, baseball…) sono quelli che portano più spesso ad un sovraccarico funzionale della spalla. Il sovraccarico può manifestarsi inizialmente con il dolore durante il gesto atletico ma a lungo andare, se non curato correttamente, può portare a vere e proprie lesioni tendinee.

Quali sono le condizioni dolorose di spalla più frequenti tra gli sportivi?

Negli sport da contatto come il rugby o il calcio i problemi sono spesso causati da traumi. Ad esempio le lussazioni e le fratture sono molto frequenti. Negli sport “overhead” invece le condizioni dolorose interessano più frequentemente la capsula e i tendini della cuffia dei rotatori.

Come prevenire patologie di spalla tra gli sportivi?

Per chi pratica sport, soprattutto in ambito professionistico, è particolarmente importante guarire completamente e velocemente, in modo da poter tornare il prima possibile a praticare il proprio sport. 

La prevenzione si basa principalmente sul miglioramento della funzionalità e sulla corretta dinamica del gesto atletico. Un lavoro di preparazione e di riscaldamento specifico di alcuni gruppi muscolari (scapolo-toracici, cuffia dei rotatori, lombo-pelvici), esercizi di propriocezione per aumentare il controllo neuro-muscolare dell’articolazione e lo stretching capsulare sono alla base per ridurre al minimo il rischio di infortunio. Ad esempio si tende a lavorare sul movimento principale che viene eseguito nel corso dell’attività agonistica che può essere la schiacciata per il pallavolista o il servizio per il tennista, al fine di ottenere una performance che con il minor sforzo porti al massimo dei risultati e al minor rischio possibile di alterare la struttura.

Infortuni o traumi importanti alla spalla possono incidere pesantemente nella qualità di vita della persona e nella carriera di un atleta, per questo motivo è bene essere informati e farsi trattare dai migliori specialisti del campo.

Per una corretta diagnosi sono necessarie delle indagini diagnostiche (Radiografia e Risonanza Magnetica) ed una visita accurata da parte dello specialista ortopedico. Il trattamento delle patologie della spalla è molto spesso di tipo conservativo e prevede un programma riabilitativo associato a volte ad un ciclo infiltrativo. Sarà quindi compito dello specialista ortopedico individuare la migliore strategia di trattamento a seconda della patologia.

Dr. Nicola de Gasperis

Specialista in Ortopedia e Traumatologia

Gli infortuni più comuni nel tennis

Gli infortuni più comuni nel tennis

La maggior parte degli infortuni che avvengono nel tennis possono essere definiti come “lesioni da sovraccarico” causate da microtraumi ripetuti. L’arto inferiore è la regione più frequentemente interessata (39-65%), seguita dall’arto superiore (24-46%) e dalla colonna (8-22%).

  • Arto inferiore: le aree più frequentemente colpite sono la caviglia, il ginocchio (traumi distorsivi) e la coscia (lesioni muscolari);
  • Arto superiore: le lesioni avvengono più frequentemente a livello del gomito (epicondilite/epitrocleite) e della spalla (lesioni tendinee);
  • Colonna: la zona più sollecitata è la parte lombare (sindrome delle faccette articolari, spondilolisi, spondilolistesi).

Il costante aumento dei ritmi di gioco, le diverse superfici dei campi da tennis e gli innumerevoli cambi di direzione che avvengono durante un allenamento o una partita sono alla base dei principali infortuni.

È evidente che se si gioca sulla terra rossa si avranno dei ritmi di gioco diversi da quelli che si hanno su cemento.

Ad esempio, sui campi in terra rossa il rimbalzo della palla è più alto, lento e irregolare e grazie al tipo di terreno l’atleta può compiere movimenti più sciolti e addirittura “scivolare”. Mentre sul cemento i ritmi di gioco sono più elevati con rimbalzi della palla più bassi e regolari.

Arto inferiore.

È evidente quindi che l’arto inferiore sia la parte del corpo più sollecitata ed esposta a rischio di infortunio. Le lesioni che si riscontrano più frequentemente sono:

  • Lesioni muscolari (quadricipite, adduttori e polpaccio)
  • Traumi distorsivi alla caviglia con lesione del legamento perineo-astragalico
  • Traumi distorsivi al ginocchio con lesione dei legamenti crociati e/o collaterali

Anche il sovraccarico funzionale può portare a patologie infiammatorie della cartilagine prevalentemente a livello della rotula (condrite femoro-rotulea).

Il gomito del tennista.

Altro infortunio che si riscontra molto spesso è l’epicondilite conosciuta più comunemente come gomito del tennista.

L’epicondilite è l’infiammazione di alcuni tendini che si inseriscono sull’epicondilo, la parte esterna dell’articolazione del gomito, che se trascurata può diventare seriamente invalidante.

I sintomi del gomito del tennista sono:

  • dolore localizzato nella zona esterna del gomito che si irradia lungo l’avambraccio fino ad arrivare al polso;
  • debolezza muscolare;
  • impotenza funzionale con difficoltà a compiere anche piccoli gesti come ad esempio svitare il tappo di una bottiglia.

Il tasso di infortuni del gomito nel tennis è piuttosto elevato, con percentuali comprese tra il 37% e il 57% nei giocatori d'elite e in quelli amatoriali.

Nei giocatori d'élite vi è una maggiore incidenza di epitrocleite (simile all’epicondilite ma sulla parte interna del gomito) dovuta a sovraccarico nel servizio e nei colpi di dritto, rispetto a tassi più elevati di epicondilite da sovraccarico nel rovescio nei giocatori di livello amatoriale.

I Traumi della spalla.

La patologia che si riscontra più frequentemente nella spalla è il sovraccarico funzionale che a lungo andare può portare a lesioni della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite.

Questo è dovuto al fatto che il moderno gioco del tennis è caratterizzato da oltre il 75% di dritti e servizi, i quali richiedono potenti rotazioni concentriche interne della spalla per la produzione di energia, provocando così un eccessivo stress sulla capsula articolare e sulla cuffia dei rotatori.

In questo caso i sintomi sono caratterizzati da:

  • dolore prevalentemente durante la fase di caricamento del servizio;
  • dolore notturno;
  • limitazione nei movimenti.

La colonna vertebrale.

I vari movimenti richiesti dal tennis per la colonna vertebrale sono generalmente considerati un fattore di rischio per il dolore lombare. Uno dei movimenti che in particolare può stressare la colonna lombare nel giocatore d’élite è l’associazione di estensione, flessione laterale e rotazione che sono inerenti alla fase di caricamento del servizio.

In questi casi si può andare dal semplice dolore lombare dovuto all’infiammazione delle faccette articolari fino a vere e proprie lesioni strutturate a livello vertebrale (spondilolisi e spondilolistesi)

È importante quindi sottolineare come sia necessario un programma di resistenza e condizionamento specifico per il tennis e come questo possa giocare un ruolo chiave nella prevenzione dei più comuni infortuni negli atleti.

La calcificazioni della spalla - Calcificazione Piccola

La calcificazioni della spalla

L’entesopatia calcifica, più comunemente conosciuta come calcificazione dei tendini della spalla è rappresentata da una formazione di calcio che tende ad accumularsi in modo anomalo nei tendini della cuffia dei rotatori. Tali formazioni possono essere di pochi millimetri fino ad arrivare a qualche centimetro di diametro. Non si conosce una reale causa che porti alla comparsa di una calcificazione, esistono però dei fattori predisponenti che ne aumento la possibilità di formazione.

La calcificazioni della spalla - Calcificazione Piccola
La calcificazioni della spalla

I principali fattori associati alla formazione di una calcificazione sono l’età compresa tra 30-50 anni, familiarità per malattie metaboliche che alterano i livelli di calcio nel sangue, patologie autoimmunitarie, l’attività lavorativa (postura scorretta che porta a infiammazione dei tendini) e lo sport praticato (sovraccarico funzionale). Un’infiammazione o un sovraccarico dei tendini della spalla possono provocare delle microlesioni che a volte vengono riparate mediante l’apposizione di calcio. E’ per questo motivo infatti che questa patologia si presenta più frequentemente nell’arto dominante. Il sintomo principale è il dolore, che si manifesta nei movimenti di elevazione e abduzione del braccio e può presentarsi anche a riposo nelle ore notturne.

Nelle prime fasi di formazione della calcificazione il dolore è un sintomo vago e sfumato, che però tende a peggiorare quando le dimensioni della calcificazione aumentano o la stessa è posizionata in zone maggiormente sottoposte a sollecitazione. A volte si possono avere vere e proprie crisi dolorose dovute alla rottura o al riassorbimento di una piccola porzione della calcificazione che può irritare anche la capsula articolare della spalla provocando una capsulite adesiva con forti dolori associati ad una grave limitazione articolare. La comparsa di una calcificazione ha di regola 3 fasi. La prima fase è quella di apposizione del calcio in cui la calcificazione inizia a formarsi ed aumenta di dimensioni; la seconda fase è quella di stasi, nella quale non cambiano le dimensioni e si modifica la consistenza del calcio che diventa simile a quella del “dentifricio”; la terza fase infine è quella di riassorbimento in cui la calcificazione tende a riassorbirsi lentamente nel tempo fino a sparire del tutto. Purtroppo però ognuna di queste fasi ha una durata variabile nel tempo che può andare da alcuni mesi fino a molti anni; in letteratura infatti esistono casi di calcificazioni ancora presenti dopo 10 anni. L’esame principale per fare diagnosi di calcificazione è la radiografia.

Questa, eseguita in modo corretto, consente di individuare la calcificazione ma non permette di avere un’assoluta precisione sulla localizzazione della stessa in rapporto alle strutture muscolo-tendinee. Per avere un quadro completo riguardo alle dimensioni e alla localizzazione della calcificazione bisogna eseguire una risonanza magnetica. In caso di controindicazioni per l’esecuzione della risonanza magnetica utile può essere l’esame ecografico, anche se, al contrario della risonanza, la sua accuratezza è strettamente legato all’operatore che la esegue. La scelta del trattamento viene fatta in base a diversi parametri tra i quali l’intensità del dolore, la presenza o meno di limitazione articolare e la grandezza della calcificazione.

Normalmente il primo approccio è di tipo conservativo basato su un programma fisioterapico mirato alla riduzione del dolore (Tecar, Laser, Onde d’urto) e sul miglioramento della postura e dell’articolarità della spalla.

Nei casi in cui il dolore sia molto intenso e l’articolarità limitata può esserci l’indicazione al trattamento infiltrativo intrarticolare con cortisonici in associazione alla fisioterapia.

Nei casi in cui l’approccio conservativo non dia i risultati sperati oppure nei casi in cui la calcificazione sia molto estesa si passa ad un approccio chirurgico mirato alla rimozione della calcificazione per via artroscopica (guarda il video) che permette inoltre di trattare eventuali lesioni associate (lesioni tendinee provocate dalla calcificazione).

Una volta asportata chirurgicamente la calcificazione il paziente dovrà seguire in ogni caso un percorso riabilitativo mirato prevalentemente al recupero articolare, che in media ha la durata di 6 settimane.

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La capsulite adesiva

La capsulite adesiva, detta anche spalla congelata o frozen shoulder, è una patologia infiammatoria che colpisce la capsula articolare della spalla. La capsula è una membrana fibrosa che circonda l’articolazione gleno-omerale. Essa, insieme ai legamenti gleno-omerali, aiuta a mantenere la stabilità della spalla. I sintomi che caratterizzano tale patologia sono il dolore e la graduale perdita del movimento, dovuti all’infiammazione ed alla riduzione dell’elasticità della capsula articolare.

Nella capsulite adesiva possiamo distinguere 3 fasi:

  • la prima fase è caratterizzata dal dolore che aumenta di giorno in giorno, anche a riposo e durante le ore notturne;
  • la seconda fase è rappresentata da una lieve diminuzione del dolore e dalla progressiva perdita del movimento su tutti i piani dello spazio (elevazione, abduzione, rotazione interna ed esterna) fino a rendere impossibili anche i gesti più semplici;
  • infine la terza fase è rappresentata da una lenta remissione dei sintomi fino alla guarigione.

Tale processo può durare diversi mesi e nei casi più gravi anche alcuni anni. Si è visto che la capsulite adesiva colpisce più frequentemente il sesso femminile nel periodo peri-post menopausa (tra i 40 e i 55 anni). Inoltre spesso si associa a malattie metaboliche come il diabete, l’ipertiroidismo, a malattie autoimmuni oppure all’assunzione di particolari categorie di farmaci.

Anche dei traumi o dei microtraumi ripetuti possono favorire l’insorgenza di questa patologia. Una corretta diagnosi prevede un esame clinico accurato e delle indagini diagnostiche (Radiografia e Risonanza Magnetica) che permettano di escludere o riconoscere patologie frequentemente associate a tale condizione clinica come calcificazioni o lesione tendinee.

È molto importante quindi che venga fatta una diagnosi corretta per impostare immediatamente una terapia adeguata. Il trattamento della capsulite adesiva è di tipo conservativo e prevede un programma riabilitativo specifico, mirato al recupero del movimento articolare, associato ad un ciclo infiltrativo intrarticolare con corticosteroidi. Spesso questo trattamento, che può durare alcuni mesi, porta ad una completa guarigione (circa 98% dei casi).

In rari casi però, quando, nonostante il trattamento conservativo, non si ottenga il risultato sperato, c’è l’indicazione al trattamento chirurgico che prevede l’apertura della capsula e l’asportazione delle aderenze per via artroscopica.

Le lesioni della cuffia dei rotatori

Le lesioni della cuffia dei rotatori

La cuffia dei rotatori è una struttura composta da quattro tendini che si fondono insieme e formano una vera e propria “cuffia” attorno alla testa dell’omero.

Ognuno di questi tendini si inserisce su una delle tuberosità della testa dell’omero ed ha una funzione specifica. Il tendine del muscolo sovraspinoso si inserisce sul trochite omerale e aiuta il muscolo deltoide nell’elevazione dell’arto superiore; i tendini dei muscoli infraspinato e piccolo rotondo si inseriscono anch’essi sul trochite omerale e permettono la rotazione esterna dell’arto superiore; il tendine del muscolo sottoscapolare si inserisce sul trochine omerale e permette la rotazione interna dell’arto superiore.

Quando si parla di lesione della cuffia dei rotatori” si intende la rottura di uno o più dei tendini che ne fanno parte. Il tendine più frequentemente coinvolto è il tendine del sovraspinoso.

Le lesioni della cuffia dei rotatori

Queste lesioni possono avvenire in seguito ad un trauma (lesioni acute), oppure possono formarsi nel tempo (lesioni non acute o degenerative), essendo nella maggior parte dei casi il risultato di una postura scorretta assunta negli anni.

I principali sintomi che il paziente riferisce sono il dolore, che molto spesso è anche notturno disturbando il sonno, e la difficoltà in alcuni movimenti, come ad esempio infilare la giacca o il cappotto, pettinarsi o prendere un oggetto su uno scaffale o un pensile.

Una corretta diagnosi prevede un esame clinico accurato e delle indagini diagnostiche (Radiografia e Risonanza Magnetica) che permettano di riconoscere e quantificare la lesioni tendinee ed eventuali lesioni associate, come nel caso di un trauma (frattura del trochite omerale).

Il trattamento delle lesioni della cuffia dei rotatori può essere conservativo o chirurgico e viene stabilito in funzione della sintomatologia clinica e della morfologia stessa della lesione.

Nel caso di lesioni di piccole dimensioni, che coinvolgano un solo tendine (lesioni stabili), il primo approccio terapeutico è conservativo ed è rappresentato da uno specifico programma riabilitativo mirato a ridurre la sintomatologia dolorosa, a correggere i difetti posturali e a rinforzare gli altri muscoli che contribuiscono al movimento della spalla per poter sopperire alla lesione tendinea.

Invece, in caso di lesioni che coinvolgano più tendini con un importante deficit del movimento della spalla, il trattamento prevede la riparazione della lesione per via artroscopica.

L’artroscopia di spalla (vedi video) è un intervento chirurgico mini-invasivo che viene eseguito in anestesia locale associata ad una leggera sedazione e prevede la riparazione dei tendini attraverso dei piccoli fori di 4 millimetri nei quali vengono inseriti un’ottica, che proietta le immagini della spalla su un monitor, ed altri strumenti dedicati che permettono la riparazione dei tendini attraverso l’uso di piccole ancore metalliche in Titanio.

Rispetto alla chirurgia tradizionale (chirurgia aperta), l’artroscopia ha numerosi vantaggi.

Prima di tutto permette di eseguire interventi chirurgici con tempi notevolmente ridotti e rischi intraoperatori minimi. Inoltre favorisce un recupero post-operatorio più rapido.

Infatti dopo l’intervento chirurgico il paziente dovrà indossare un tutore per 20 giorni e successivamente dovrà sottoporsi ad un trattamento riabilitativo specifico della durata di circa 2-3 mesi.

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